Intervista a Monica Carrera
la magìa dei fili è nel poter divenire infinite forme e nel saper raccontare infinite storie
27 aprile 2023
di Margaret Sgarra*
Artista visiva nata a Orzinuovi (BS), Monica Carrera ha conseguito il Diploma Accademico in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti NABA di Brescia. Tra le tematiche di riferimento all’interno della sua ricerca artistica troviamo: il limite, l’individuo, il confine e il rapporto tra sfera pubblica e privata. Ha partecipato a numerose mostre e progetti artistici tra cui: Between Us presso C. AR. M. E. a Brescia nel 2021 e What does indifference mean? presso l’Associazione Casa Natale Antonio Gramsci di Ales nel 2022. Recentemente è stata selezionata per partecipare a Liquida Exhibition 2023 a Torino.
MS: All’interno della tua ricerca artistica sono presenti diversi medium e diversi materiali. Tuttavia, la fotografia acquisisce un’importanza notevole nelle tue opere e spesso viene affiancata all’elemento del filo. Cosa ti ha portato ad utilizzare entrambi?
MC: Ultimamente della fotografia mi sta affascinando il suo essere simile allo sguardo sulle cose. Da sempre è connessa all’atto del vedere ma oggi, per il suo proliferare continuo e costante in circuiti digitali, per il suo essere effimera (scattiamo immagini e poi le buttiamo, impensabile per i fotografi a pellicola di un tempo) ricorda sempre più la miriade di sguardi che gettiamo distratti sulle cose che ci circondano e che la sera affollano il nostro cervello, senza che noi ce ne rendiamo conto. Scattare e scegliere per me è anche un atto di editing sulla vita, sugli sguardi che getto e sui pensieri che faccio.
L’intreccio tra fotografia e filo credo sia legato alla mia passione per il disegno e il segno in generale. Cucire e ricamare è un po’ come disegnare a respiri: ogni punto, un respiro; ogni punto, un tratteggio e uno stop; ogni punto sulla carta, una ferita. A questo secondo intervento sull’immagine affido in qualche modo la mia voce: esso rappresenta l’elaborazione che compie il mio cervello sull’immagine catturata dallo sguardo, ciò che accade una volta che l’immagine è stata introiettata. Questo intervento dunque si sovrappone all’immagine stessa, arricchendola, deviandola, completandola.
MS: E pur si muove! (Still Alive) è una serie fotografica dedicata agli esterni e agli interni delle abitazioni. L’aspetto che mi ha maggiormente colpito di questo progetto è la presenza di ciocche di capelli all’interno delle varie scene. Puoi raccontarci che cosa significano e qual è la loro storia?
MC: La serie E pur si muove! (Still Alive) nasce durante il periodo del Covid, in cui eravamo tutti confinati in casa e, quasi per scherzo, ho iniziato ad immaginare che a muoversi fossero le nostre chiome, le quali, cresciute a dismisura in un tempo di clausura lunghissimo, prendessero vita, uscissero e si mescolassero con la vegetazione. Come se il mondo e noi con esso, si fosse addormentato, e i nostri capelli avessero invece continuato a crescere, recuperando la loro natura selvaggia e portandoci a divenire un tutt’uno con la natura e la vita fuori dalle nostre case chiuse. L’idea è che diventino una sorta di radici, di elemento vegetale che si mescola con lo spazio, sfuggendo al nostro controllo. Come esseri animati, dotati di volontà propria.
Non è la prima volta che li rappresento o che li racconto, anche in un piccolo disegno “Se bella vuoi comparire…” selvatici capelli disegnati si mescolano e vengono fermati da forcine vere, inserite nel disegno. Anche in quel lavoro i capelli rappresentavano la nostra forza selvatica e ribelle che tendiamo a costringere entro le norme sociali elaborate da altri.
Dei capelli mi affascina il fatto che sembra non si decompongano nemmeno dopo la morte e per questo sono considerati magici in molte tradizioni. Spesso inoltre sono percepiti in modo ambivalente, soprattutto per quanto riguarda le donne: da vivi, sono simbolo di forza e seduzione, da morti, ci sopravvivono come reliquie. La serie è attualmente aperta, segue il ritmo di crescita dei miei capelli. Appena ne ho da sacrificare, nasce una nuova immagine.
MS: Nei tuoi lavori è ricorrente l’utilizzo del lino. Qual è il tuo legame con questa fibra e a cosa è dovuta questa scelta?
MC: Confesso che mi piace moltissimo per la sua trasparenza che mi permette di lasciare vedere l’immagine sottostante. Inoltre mi ricorda gli egizi e le antiche culture semitiche. È un tessuto molto antico che porta con sé un immaginario sacro. Lo percepisco come uno di quei materiali ancestrali. Per altri ci sono il legno, la pietra, io preferisco la carta e il lino.
MS: Sudare è un’opera realizzata con terra rossa su lino che ha come protagonista la scritta: “La sopravvivenza è una serie di azioni non gratuite”. Il suo significato ha a che fare con la sfera ancestrale dell’esistenza. A me invece ha fatto pensare al sistema dell’arte contemporanea e all’artista all’interno di questo. Cosa pensi del ruolo dell’artista nella contemporaneità e del sistema dell’arte con il quale si deve rapportare?
MC: Sai, credo sia una frase che si possa applicare a molti contesti, da un lato perché da tempo il sistema in cui viviamo ha mostrato un’attitudine crescente a divorare le persone (soprattutto i più fragili) e a prendersi sempre più brandelli delle nostre vite private; dall’altro forse l’essere umano non ha mai perso la sensazione di trovarsi in una giungla e dunque il suo istinto predatorio. Siamo immersi nel capitalismo più famelico, e il sistema dell’arte non fa alcuna differenza. Anzi.
MS: Nella serie fotografica Per una geografia erratica delle nuvole (o del diritto nomadico degli esseri viventi). Del confine l’attenzione è focalizzata sul tema dell’immigrazione. Puoi parlarci di questo progetto?
MC: Come molti dei miei lavori, anch’esso nasce da una domanda molto semplice che mi vado a porre. In questo caso, dà voce ad un’incredulità: non riesco proprio a capire come si possa mettere un limite allo spostamento degli esseri umani. Guardo il cielo, ed è solcato di stormi che non hanno alcuna dogana, di microrganismi che viaggiano nel mare e nel cielo, e perché a noi umani, migranti dall’origine dei tempi, viene posto un limite? Io credo che la nostra vera natura stia nel movimento: di piedi, di pensieri, di sangue. Dunque mi sono chiesta “Perché?” e mi sono detta che dare confini agli uomini, in movimento per natura (la nostra esperienza nomade supera di gran lunga in termini di anni quella sedentaria) è un po’ come pretendere di fermare le nuvole.
Da qui poi ho scelto di sviluppare diverse tipologie di immagini che affrontino il tema del confine, utilizzando come linguaggio comune il ricamo su carta fotografica, che, come ho già detto, rimanda per me alla ferita.
Il lavoro si compone essenzialmente di due capitoli, che trovano espressione in gruppi di immagini. L’immagine principale è il dittico a cui fa riferimento il titolo, quello che vede una nuvola uscire dal suo confine ricamato. Esso si accompagna a due immagini che, tramite il ricamo, dividono il cielo a scacchi, una sorta di proiezione del reticolo di meridiani e paralleli che ci servono a determinare la posizione di ciascun individuo, ma che in questo caso, non possono che rimandare anche all’essere imprigionato, realmente e metaforicamente. Poi c’è il secondo gruppo di immagini, che affronta espressamente il tema del confine. Ecco che qui divido con il ricamo la superficie del mio letto, come fosse un continente, mettendo in atto una divisione capricciosa e arbitraria dello spazio, cosa che sta alla base di molti confini tracciati sulle mappe. Cucio poi il confine addosso al corpo di alcuni pescatori portoghesi, alludendo al sangue versato o alle separazioni che certi confini hanno imposto. Abbiamo poi il confine di nuvole tracciato di giallo su cielo blu, i colori della bandiera europea. Chiude il lavoro un confine rosso tracciato sulla cresta dell’onda, colta nello stretto del Bosforo, che divide Europa e Asia. Ecco che ritorno a l’inconsistenza dei confini. Una sorta di racconto o di danza tra i miei pensieri balzani in merito ai limiti e confini.
MS: Quali sono i tuoi prossimi progetti e a che cosa stai lavorando adesso?
MC: È bizzarro, ma attualmente mi sto trovando a lavorare a due progetti che celebrano entrambi dei centenari: uno, sviluppato con l’artista Fabio Bix, celebra i cento anni della nascita di Italo Calvino, e l’altro commemora il crollo della diga del Gleno, in Val Camonica. Sto scoprendo un sacco di cose relative al 1923, anno in cui è nata anche una delle mie poetesse preferite, Wislawa Szymborska, ma per adesso mi accontento di leggerla, d’altronde la sua sensibilità e le sue parole hanno spesso nutrito i miei lavori.
*Margaret Sgarra è curatrice di arte contemporanea e storica dell’arte, ha conseguito il Diploma di I livello in Didattica dell’arte presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, successivamente ha perfezionato i suoi studi con una Laurea Magistrale in Storia dell’arte rilasciata dall’Università degli Studi di Torino e una Laurea Magistrale in Arti visive conseguita presso l’Università di Bologna. Attualmente è coinvolta, in qualità di curatrice e di critica d’arte, nella realizzazione di diversi progetti espositivi. Collabora come redattrice per riviste e blog dedicati all’arte contemporanea.